Perché Londra è una polveriera.

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Intorno alla morte di Mark Duggan perdura a tutt’oggi una certa confusione: analisi balistiche, leggende urbane, perizie, smentite. Ma non è di questo che vogliamo parlare. Quello che ci interessa è come la capitale britannica, smentendo l’ottimismo di certi commentatori in vestaglia, abbia ancora una volta mostrato il lato oscuro del multiculturalismo e della ‘gentrificazione’, e tutto ciò nel mezzo d’un’estate che ha certificato il tracollo dell’Occidente da ogni punto di vista: politico, militare, economico. In questo clima funesto, la morte accidentale o meno di un disgraziato non è che una scusa, un fiammifero acceso. Tanto basta per molte rivolte urbane, e quando l’incendio è appiccato, non c’è niente che le fermi: si estendono, si sviluppano. Come una merce a buon mercato e di largo consumo.


E’ una guerriglia 2.0, titolano alcuni quotidiani britannici, perché si servirebbe degli stessi strumenti che spesso rimbambiscono e anestetizzano i rivoltosi, quando fa freddo: quei Twitter e Iphone che i teorici di moda dicono siano stati alla base delle rivoluzioni arabe: sarà, ma durante il recintaggio poliziesco a cui fummo sottoposti in seimila, nel novembre scorso, davanti Downing street, quelli muniti di aggeggini elettronici si dilettavano tutt’al più con Angry Birds o con gli sms, mentre i piu’ arrabbiati – i figli delle periferie degradate – avevano in mano solo cocci di bottiglia e mazze di ferro, ed erano gli unici a tentare di forzare il blocco. Senza contare che nessuno rischia di andare in galera o al pronto soccorso per un “passaparola” virtuale.

Sicuramente è una vicenda, quella dei riots londinesi, che guarda al futuro dell’Europa piu’ che al passato, anche se dal passato – in particolare dagli scontri di Brixton dell’81 e poi dell’85 – sembra recuperare una caratteristica fondamentale: non di scontro tra neri contro bianchi si tratta, e tanto meno di giamaicani, nigeriani, turchi contro la polizia. Questa rivolta ha un solo protagonista, un solo nome che molti si vergognano di pronunciare, ed è “proletariato”. Studenti e anarchici hanno forse “scaldato” il terreno, ma sono loro, i proletari, contro il resto della città.
Proletari del XXI secolo, certo, forgiati dalla cultura del centro commerciale, del Big Brother e dei tabloid. Il loro è un gesto di dissenso – irrazionale, inconsapevole, autolesionista forse – contro quel sistema delle merci che ogni tv e presentatore incoraggia a seguire, e che ogni governo di destra o di sinistra promette di far funzionare, senza spiegare come mai anni di sacrifici flessibilità alienazione siano valsi soltanto questo collasso senza fine.
Il tumulto è scoppiato non perché a Croydon, Tottenham o Hackney ci sia meno pane e meno lavoro che nel Sud Italia. E anche nella mia Peckham, dove pure hanno incendiato un paio di autobus, la qualità della vita è mediamente superiore alla periferia campana. Ma bisogna visitarli, certi tuguri di immigrati che lavorano dodici ore al giorno, capire con quanto razzismo la Londra a nord del Tamigi tratta l’altra meta’ – hic sunt leones –, e non solo fermarsi ai negozi di cupcakes, prima di dire che una zona è diventatata “vivibile”, “pacificata”.

Personalmente mi ritengo molto fortunato, per aver frequentato e per avere ancora la possibilità di conoscere persone di valore, minoranze attive o “persuase” che a Londra fanno del bene e non solo per se stesse, anche se è difficile trovare professionisti o anche “cervelli in fuga” preoccupati di qualcosa di più che della loro carriera, del loro star bene e – vedi i molti “artistoidi” di Hackney – della loro immagine.
Ma bisogna pur uscire dall’autocompiacimento e dal “quieto vivere”, dalle cronache di certi “corrispondenti” a spasso per Hyde Park, e capire che la nostra è una visione quasi sempre parziale. Purtroppo o per fortuna, il rispetto delle leggi, per certi poveri cristi che vivono consumando, producendo, crepando è solo formale, dettato dalla paura del carcere, e non certo per un radicamento / idenfiticazione con la società. Paradossalmente, un saccheggio può essere per molti occasione di riscatto, di fuoriuscita dall’anonimato, e addirittura un sollievo, un’euforia, un’urgenza e un desiderio di vita.

Dunque, la folla che è balzata in piedi come un solo uomo va fermata, dicono, e potremmo pure essere d’accordo, anche se non si capisce quale dovrebbe essere la pars construens di questo compitino in classe. Silenzio e solitudine: questa è la ricetta che ha sempre assaggiato la folla, dopo ogni tumulto. Il controllo sociale che penetra le menti, nell’oceano di consumo e sperpero senza limiti, sotto i giochi pirotecnici delle Olimpiadi: eccolo il sogno dei governanti. Mentre le sirene di polizia e le ambulanze continuano a squarciare, come un lamento, il crepuscolo che avvolge intere zone di citta dimenticate da Dio.

francesco forlani - Radio Londra: Paolo Mossetti - 09.08.2011